Il Neoclassicismo
Introduzione
Benché la cultura artística e letteraria di fine ‘700 e inizio ‘800 fosse
agitata da uma serie di sollecitazioni di rinnovamento, quella più forte e
prevalente fu la classicistica.
Il gusto per l’antico non si era spento dopo il rinascimento ed era una
componente caratteristica della cultura, grazie anche alla diffusione di libri
e stampe, ai viaggi e all’internazionalizzazione della cultura. Era una
caratteristica molto significativa della comunità artistica non solo in Europa,
ma anche in altri posto lontani.
Il piacere per lo studio, l’espressione della cultura antiquaria, la
creazione del conoscitore e dell’amatore erano elementi che facevano parte del
neoclassicismo.
Il Neoclasicismo
Il neoclassicismo è la logica conseguenza del pensiero illuministico nelle
arti.
L’arte neoclassica rifiuta gli eccessi del Barocco e del Rococò che
interpretavano i sentimenti delle classi dominanti e dei governanti dispotici e
guardava all’arte dell’antichità classica greco-romana, specialmente quella
greca che si sviluppò grazie alla libertà di cui godevano le poléis.
Il termine “neoclassicismo” fui coniato alla fine dell’800 come qualcose di
dispregiativo, indicando un’arte non originale, fredda e troppo accademica.
Però finì per leggere bene il desiderio di ritorno al passato e di crezione di
un nuovo classicismo dei teorici e artisti che operarono tra la seconda metà
del ‘700 e l’età Napoleonica.
Insieme a questo, si unirono gli scavi archeologici di località come
Ercolano e Pompei, due città di epoca romana sotterrate da un’eruzione del
Vesuvio nel 79 d.C. Questi scavi portarono alla luce, per gli occhi
meravigliati del tempo, architteture, statue, affreschi, oggeti di uso
quotidiano, gioielli, ecc, che influenzarono ancora di più in senso classico la
cultura dell’epoca.
Winckelmann
Il neoclassicismo ha avuto come sede Roma, città di grande ispirazione
classica, e il suo maggiore teorico fu il tedesco Johan Joachim Wilckelmann,
che studiò medicina, matematica e teologia, e lavorò come bibliotecario,
appassionandosi della lettura dei classici greci. Nel 1755 scrisse “I Pensieri Sull’imitazione dell’arte Greca”
nella pittura e nella scultura, in cui c’erano già i principi nel
neoclassicismo.
Giunto a Roma nello stesso 1755, nel 1758 passò a lavorare come
bibliotecario per il Cardinale Albani, uno dei maggiori collezionisti del tempo
e fautore di restauri, abitando anche nella sua Villa con lui.
La biblioteca del carninale, una delle più celebri d’Europa e la sua
collezione d’arte, che si trovava negli ambienti anticheggianti della Villa
Albani o sui giardini, hanno offerto a Winckelmann la possibilità di arrichirsi
culturalmente e anche di riflessione.
Nel 1763 pubblicò “La Storia
dell’arte nell’antichità”, in cui l’arte antica, cioè l’architettura, fu
trattata sia da un punto di vista cronologico, eliminando la concezione
omogenea che si era formata di essa, sia da un punto di vista estetico, cioè
l’aspetto formale, la qualità. Però questa opera influenzò in modo negativo gli
sviluppi dell’archeologia. Quando Lord Elgin portò in Inghilterra i marmi del
Partenone, agli inizi dell’800, lo si attribuirono a un rifacimento romano e
non all’originale di Fidia, perché erano lontani dalla bellezza idealizzata dai
neoclassici, cosò come alla fine dell’800, i frontoni del Tempio di Zeus a
Olimpia furono giudicati arte secondaria e provinciale per lo stesso motivo.
Si vede che si faceva fatica a riconoscere in queste sculture e opere,
l’immagine che se era creata sotto gli occhi dei neoclassici. Infatti il
proprio Winckelmann non ha mai visto in sua vita un’originale greco, ma solo
rifacimenti di età romana tardo ellenica, e basò in essi i suoi principi
interpretativi dell’arte greca.
Nei Pensieri sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella
scultura, che fu la prima già compiuta teorizzazione del neoclassicismo,
Wincklemann partì dal presupposto che il buon gusto aveva avuto origine in
Grecia e che sempre che si allontanava da quella terra perdeva qualcosa. La
grandezza artistica allora era propria dei Greci. Per essere grandi si doveva
imitarli. Però l’imitazione non è lo stesso che la copia. L’imitazione cosiste
nell’ispirarsi a un modello al cui si cerca di uguagliare, mentre la copia è
molto l’imitativa perché è la riproduzione identica del modello originale.
Nobile semplicità e quieta grandezza
Per la scultura Winckelmann consiglia di imitare L’Antinoo del Belvedere e
l’Apollo del Belvedere, due delle più celebri statue della colezione pontificia
che i viaggiatori del Grand Tour amavano farsi rappresentare vicini.
L’Antinoo era caratterizzato dalla presenza di tutto quello che c’era in
natura, e l’Apollo era importanti per formarsi un’idea che superi le
proporzioni più che umane della divinità. Inoltre, queste imitazioni servivano
a insegnare a pensare e immaginare con sicurezza, una volta che in essi modelli
erano presenti gli ultimi sviluppi del bello umano e del bello divino.
Già nel gruppo di Laocoonte, Wincklemann identifica delle caratteristiche
specifiche e anche enuncia il principio che sarà seguito con fervore dai
neolclassici: la principale caratteristica dell’arte greca è una nobile
semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione.
Così come il fondo degli oceani è immobile nonostande la superficie sia
agitata, le sculture greche, per quanto i soggetti stiano mossi dalle passioni,
hanno l’espressione che mostra sempre un’anima grande.
Wilckelmann sostiene che più tranquilla è la posizione del corpo, più in
grado è di esprimere il vero carattere dell’anima. Una scultura neoclassica
allora, non poteva mai mostrare passioni e situazioni tragiche mentre esse
accadono. L’artista doveva sempre rappresentare i soggeti prima o dopo l’evento
tragico, quando le passioni non si erano ancora verificate, o erano già
calmatesi.
Il contorno, il drappeggio
Wincklmann riconosceva nelle opere degli artisti oltre che la belleza, la
“nobile semplicità e quiete grandezza”, anche il contorno e il drappeggio. Da
qui deriva il gusto neoclassico per il contorno e per il disegno.
Siccome ancora si conosceva poco della pittura greca, e quello che era
scoperto a Pompei e Ercolano era non greco, per la pittura si doveva ispirare
agli artisti vissuti all’epoca di Papa Leone X, in speciale Raffaello, il più
classico degli artisti rinascimentali.
Infatti Mengs si ispirò al Parnaso di Raffaello nel dipingere lo stesso
soggetto nella volta del salone di Villa Albani. L’opera ha un grande valore
didattico perché é la proto-pittura neoclassica e fu realizzate secondo le
concessioni di bellezza che conbacciavano con quelle di Wincklemann stesso.
Infatti, in un’altra opera, “Pensieri sulla belezza e sul gusto nella pittura”
Wincklemann, ispirato da Mengs, scrisse che il pittore che volesse trovare il
buono, cioè il miglior gusto doveva ispirarsi a quattro principi: al bello
degli antichi, al gusto dell’espressione di Raffaello, a quello dell’armonia e
del piacevoli di Correggio, e a quello della verità, di Tiziano, cioè il colorito.
Antonio Canova
Canova scrisse delle lettere ai suoi amici in occasione dei suoi soggiorni
in Parigi nel 182 e 1810 il quant fosse grato a Napoleone per l’onore che gli
era concesso dall’imperatore, anche al puno di invitarlo ad abitare nella sua
corte a Parigi. Nelle stesse lettere però, è rivelato il suo carattere semplice
e riservato, di uno che era appassionato per Roma, dedicato allo studio e ai
doveri e all’arte che era intesa come fonte di vita.
Antonio Canova nacque vicino a Treviso, nel 1757. Figlio di uno scalpellino,
fece il suo apprendistato a Venezia, dove aprì uno studio nel 1775. Nel 1779 si
era già trasferito a Roma, presso il ambasciatore della Repubblica. A Roma
seguì corsi di nudo all’Accademia di Francia, e lì visse per praticamente tutta
la vita, con eccezione dei periodi in cui fece visite ai luoghi di nascita, e
dove si recò per forza di incarichi ricevuti, come in Austria, in Francia nel
1802 e nel 1810 chiamato dallo stesso Napoleone, e poi un’altra volta a Pargi
nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, come ambasciatore per riottenere le
opere d’arti sequestrate da Napoleone allo Stato Pontificio. Da Parigi fu anche
a Londra per vedere i marmi del Partenone portate da Lord Elgin.
Fu amato e ammirato da amici e potenti. Ha ricevuto incarichi della nobiltà
veneta e romana, da Napoleone e familiari, da aristocratici russi, dotti
inglesi, dai Borboni di Napoli, Asburgo d’Austria e dallo Stato Pontificio. Nel
1802 divenne Ispettore Generale delle Belle Arti dello Stato pontificio e
cedeva tutto il suo stipendio all’Accademia di San Luca. Morì a Venezia nel
1822.
Il disegno
Canova incarna i principi neoclassici di Winckelmann sia nel disegno sia
nella scultura.
I suoi disegni mostrano un’attenzione speciale per il nudo maschile e
femminile, per temi dell’Antico che risalgono al primo periodo romano, e le
cosiddette accadémie.
La ragione di numerosi disegni era avere una gamma il oiù grande possibile
di atteggiamenti, posizioni e espressioni per lo studio e la resa delle
sculture che via via gli erano richieste.
Teseo sul Minotauro
La prima sculture che fece dopo l’arrivo a Roma fu Teseo sul Minotauro, su
commissione dell’ambasciatore della Repubblica. Il sogetto e il modo in cui è
proposto dimostra la vicinanza con le teorie di Winckelmann.
L’eroe è seduto sul mostro che ha appena ucciso: Canova ha scelto il
momento successivo all’azione, quando ogni passione e rabbia del combattimento
non ci sono più. Nella posizione
tranquilla di Teseo, la sua grande anima è in armonia con il suo corpo, che non
è più scosso da passioni. Teseo, simbolo della vittoria della ragione
sull’irrazionalità bestiale è seduto sul Minotauro, come un cacciatore su una
preda. Il Minotauro è in una posizione a “s” rovesciata, mentre Teseo appaggia
la mano destra sulla sua gamba sinistra; il braccio sinistro è piegato e ha in
mano una clava, il corpo è inclinato indietro, pendendo lievemente alla
sinistra di chi guarda, il capo reclinato in avanti, mentre la gamba destra è
piegata in angolo acuto e quella sinistra lievemente flessa è tesa.
Le due figure del gruppo scultoreo a forma piramidale sono perfette secondo
le concessioni classiche.
Scopo di Canova è il raggiungimento
della bellezza ideale, conseguito dai greci, e poi tentato anche dagli artisti
del Rinascimento, di quella bellezza che si forma nella mente dell’artista dopo
che esso si rende conto dell’impossibilità di trovare un corpo perfetto in
natura. Questo si può conseguire se si domina completamente la tecnica
scultorea e se si imitano i greci.
Questa sua scultura, così come le altre, è in marmo, perché per Canova esso
era l’unico materiale capace di mostrare la mobidezza e la flessibilità della
carne. Perché queste caratteristiche fossero risaltate, il marmo veniva
totalmente o parzialmente trattatto con cera rosata o ambrata per essere il più
vicino possibil al reale.
Questa prima opera, Canova fece da solo, e modificò alcuni particolari
nell’esecuzione. Ma poi organizzò la sua bottega in modo da lavorare
all’idezioni e all’attività creativa. Così, basandosi sul suo disegno finale,
faceva un modello in creta, che gli assitenti utilizzavano per fare il calco in
gesso e che poi sbozzavano nel marmo. Quando l’abbozzo era vicino allo sviluppo
definitivo, Canova riprendeva l’azione, concludendo l’opera attraverso la sua
sensibilità.
Tutte le sue sculture erano condotte fino al sommo sviluppo, il marmo era
levigato fino ad essere liscio, translucido, quasi trasparente. Questo perché
Canova era attento ai particolari, ma anche all’aspetto generale con effetti di
grande luminosità e tenue ombra.
Amore e Psiche
Nel Gruppo “Amore e Psiche che si abbracciano” finito nel 1793, Canova
riprende una favola dell’opera “L’asino d’oro” di Lucio Apuleio. L’episodio che ha rappresentato è quello in
cui Amore rianima Psiche che è svenuta perché, contro gli ordini di Venere, ha
aperto un vaso ricevuto nell’Ade da Proserpina.
Canova ha fermato nel marmo un attimo sospeso: la tensione dei corpi che
non si stringono ma si sfiorano in un sottile erotismo, mentr Amore guarda con
dolcezza Psiche che rettribuisce o sguardo, e i due sono immersi nella bellezza
dei volti uno dell’altro. Questo attimo sospeso è quello anteriore a un bacio,
indiato già dal corpo e dagli sguardi.
La visione frontale è la più signigicativa, principalmente per la geometria
dell’opera, formata da due archi: uno risalta il corpo in torsione di Psiche,
l’altro passa per l’ala sinistra e la gamba destra di Amore. Due cerchi
s’identificano con le braccia dei due giovani, e indicano il punto d’intersezione
tra gli archi.
Il godimento dell’opera però, non è solo frontale. Man mano che i gira
attorno alla scultura, si vedono cambiare i rapporti tra i corpi dei due
giovani, cosa che indica la complessità delle opere di Canova.
Adone a Venere
Nel 1789 Canova conclude il modello che lui stesso ha scelto, basato su un
mito greco, per l’esecuzione dell’opera per la quale non ci fu commissione:
Adone e Venere. Essa fu conclusa nel 1794 e comprata dal Marchese di Berio, e
poi, nel 1820 passata da un’altro proprietario, e in questa occasione, Canova
intervenì ancora una volta in alcuni particolari.
Il gruppo raffigura l’ultimo saluto di Venere all’amato e bello Adone, che
partito per una battuta di caccia sarebbe ucciso da un enorme cinghiale
mandatogli contro dal rivale Marte, accecato da gelosia. Insieme a Venere e
Adone c’è un’altro personaggio, il fedele cane di lui che sta dietro alla
coppia col muso all’insù.
Venere si appoggia alla spalla sinistradi Adone con la mano destra e gli
caezza il mento con l’altra mano, mentre Adone porta vicino a sé la dea,
cingendola dolcemente alla vita. Solo un drappo che nasconde le gambe di Venere
separa i due corpi. Adone poggia la gamba sinistra e tiene l’altra protesa in
avanti. Il bacino ha una rotazione opposta a quella delle spalle e il suo
braccio destro scivola inerte lungo il fianco.
Canova fa i corpi quasi uguali per la mancanza di una muscolatura più
robusta di Adone, sottolineando così la sua giovinezza. Le labbra aperte, le
teste inclinate, gli occhi socchiusi al guardarsi l’un l’altro, e le pose
rilassate dimostrano l’amore e la tenerezza resi nell’opera.
Ebe
Di Ebe Canova fece 4 esemplari, però quello di cui parleremo è il secondo
nel tempo, oggi conservato all’Ermitage di San Pietroburgo.
Ebe è la personificazione dell’etterna giovinezza, figlia di Zeus e di Era,
è quella che porge da bere agli dei nei banchetti.
La dea è sostenuta da una nuvola, e il suo busto è scoperto, mentre la
parte inferiore del corpo è coperta da una veste leggera e dalle mille
pieghe che l’aria fa aderire al suo
corpo e mostrarne i contorni.
Il chiaroscuro più forte si vede nelle pieghe della vesteche accompagna la
gamba destra arrettrata. Tutto in Ebe richama alla grazia: il suo corpo
giovane, il volto perfettamente ovale incorniciato da riccioli che sporgono dal
suo diadema, il modo con cui afferra la coppa e l’anfora, il modo sottile il
cui il suo corpo è proteso in avanti mentre il busto è leggermente inclinato
indietro come se fosse soffiato dal vento.
Dopo del primo esemplare, Canova fu criticato da alcuni contemporanei per
la mancanza di espressione nel volto della dea, a cui lui rispose che era una
mancanza voluta, perché se ci fosse una forte espressione, lei sarebbe una
baccante e non una divinità. Questo dimostra come Cannova voglia aderire ai
principi dettatti da Winckelmann di che l’anima grande corrisponde a
un’atteggiamento tranquillo.
Paolina Borghese
Dei rapporti di Canova con Napoleone sono testimonianze le opere eseguite
per lui e per familiari, di cui la più celebre è il rittratto di Paolina
Borghese, sorella di Napoleone e moglie del principe romano Camillo Borghese.
Paolina è raffigurata come Venere vincitrice, infatti porta in un gesto
grazioso il pomo della vittoria datto da Paride a Venere, giudicata da lui da
dea più bella. Paolina è rappresentata adagiata su un divano con una sponda
rialzata, appoggiata da due cuscini. Il corpo, nudo fino alla regione inguinale
è lì coperto da un drappo che risalta e sostituisce i contorni dell’inguine lasciando
scoperte una gamba e l’attacco dei glutei, dimostrando un’evidente erotismo,
molto più sentido di quanto non sarebbe se Paolina fosse stata completamente
nuda.
Il volto idealizzato e le sembianze divine collocano Paolina fuori dalla
realtà terrena, ma la cera rosata spalmata da Canova nelle parti nude
contribuisce a riportarla al mondo umano.
Il letto di marmo su cui poggia il marmo nascondeva un meccanismo che
permetteva alla statua di girare ed essere illuminata da diversi modi, creando
un’infinità di nuove possibilità di “chiaro-scuro”.
Jacques-Louis David
Nacque a Parigi nel 1748 dove iniziò i suoi studi nell’Académie des Beaux
Arts, partipando varie volte al Prix de Rome, il premio che avrebbe dato al
vincitore la possibilità di soggiornare a Roma e diventare pensionnaire
dell’Accademia di Francia della città ed essere in contatto con le antichità lì
presenti.
Nel 1775, David vinse il Prix de Rome e mentre viaggiava per arrivare alla
città fu colto da un disagio perché vedendo le arti italiane e romane non si
considerava all’altezza degli ideali del tempo, cioè, da quelli proposti da
Winckelmann.
Soggiornò in Italia dal 1775 al 1780 (e poi una seconda volta dal 1784 al
1785) e lì ha potuto venire a contatto con la scultura e pittura romane,
principalmente quella di Raffaello. Dopo un viaggio a Napoli, Pompei ed
Ercolano ha dichiarato di aver paerto gli ochi all’antico come se fosse operato
e cataratta, e solo allora capì che operare come gli antichi e come Raffaello
era essere artisti.
Rientrato in Francia ha ricevuto numerosi incarichi, e ha partecipato
attivamente alla Rivoluzione nel 1789, fu deputato e poi presidente della
Convenziona Nazionale, era sostenitore di Robespierre e dpo la sua morte fu
incarcerato per un periodo nel 1794. Dopo, come altri intellettuali dell’epoca,
ha sofferto il fascino di Napoleone, tanto da nel 1804 essere nominato il Primo
Pittore dell’Imperatore. Dopo la caduta di Napoleone e della restaurazione, nel
1816 fu costretto all’esilio in Belgio dove morì nel 1825.
Il disegno
Normalmente i disegni di David erano fatti in colori scuri, toni di bianco,
nero e erano identificabili per il netto conorno e per l’uso di mina di piombo,
penna o inchiostro. La finalità dei disegni di David era quella di rendere
chiari i segni, pura l’immagine e netto il contorno.
Il Giuramento degli Orazi
La presenza a Roma fu molto profittosa per David. Nelle opere delle Stanze
Vaticane, e in quelle di Raffaello, lui identificò quello che era nel suo
vedere la più grande caratteriatica del pittore rinascimentale: isolare ogni
soggetto in modo da renderlo autonomo, nonostante esso fose inerito in un
scenario con altri tanti protagonisti e personaggi. E questo anche lui voleva
fare.
Il Giuramento degli Orazi fu fatto el 1784, nel secondo soggiorno romano,
su commissione del Re di Francia e l’anno seguente fu esposto nel Salon,
l’esposizione di opere d’arte contemporanee che si svolgeva a Parigi
periodicamente a partire dal XVIII secolo.
Il soggetto è scelto dalla storia della Roma Monarchica, quando nel regno
di Tullo Ostilio i 3 fratelli Orazi, romani, e i 3 fratelli Curiazi, albani se
affrontarono per risolvere un conflito sorto tra Roma e Albalonga. I Curiazi
furono tutti morti, menre solo uno Orazio visse proclamando la vittoria della
sua patria. Il soggetto scelto mostra quindi la virtù patriottica dei giovani,
quello che David crede certo e che vuole dimostrare in modo da insegnare valori
etici, civili e politici al pubblico.
La scena, anche un po’ teatrale, si svolge nell’atrio di una casa romana
illuminata dalla luce solare. La prospettiva è resa dalle lastre di marmo del
pavimento; al fondo ci sono dei pilastri e delle colonne doriche dal fusto
liscio che reggono archi a tutto sesto e delimitano un porticato, che alla
destra, si apre mostrando un passaggio agli ambiente abitativi.
I personaggi sono dividi in due gruppi incorniciati dalle arcate estreme,
mentre il padre si erge nel centro, consapevole della propria centralità e del
fatto che mette in rischio la vita dei figli al chiedergli il giuramento “O
Roma o morte” che ha appena pronunciato, una volta che è l’unico con le labbra
non chiuse. Il rosso del mantello chiama attenzione su di lui, dimostrandolo
come la chiave del dipinto, levando in alto le spade che poi darà ai figli. È
proprio sulla mano che tiene le spade che sta il punto di fuga.
I figli, invece, protendono le braccia in direzione al padre e alle spade
nel giuramento. Sono stretti in un abraccio indicando grande forza morale e
unanimità di intenti, unione.
A destra le donne mute e tristi sono
abbandonate nella rassegnazione. La madre, in un piano più arretratto, copre i
due figli più giovani con suo manto scuro, presagio di lutto. La figlia Camilla
con le mani in grembo non ha più lacrime ed è versata verso la cognata Sabina,
moglie del fratello maggiore, che appoggia la mano destra nella spalla di
Camilla, col capo chino.
In conformità con l’estetica neoclassica, Dabid non mostra il
combattimento, ma il momento anteriore, il giuramento solenne, congelando nei
gesti dei personaggi l’amore di patria.
La Morte di Marat
Nel 1703 il medico rivoluzionario Marat, nato in svizzera, direttore del
giornale “amico del popolo”, deputato della Convenzione, presidente del club
dei giacobini, tra i responsabili della cadute dei girondini, fu ucciso dalla
nobile Marie Corday, seguace delle idee girondine.
David fu allora incaricato dalla Convenzione di fare un dipinto redendo
onore al martire della rivoluzione.
Nel dipinto non compaiono in scena gli stessi elemeti presenti
nell’ambiente del delitto, che avrebbero fatto apparire la morte di Marat
troppo vicina a quella di un’uomo comune. La tappezzeria in carta fu sostituita
da un fondo scuro quasi monocromo, non fosse per le pennellate gialle che
formano punti dorati che sembrano voler investire Marat. La cartina della
Francia e delle pistole appese sulla parete non sono rappresentate, e il cesto
che serviva da tavolino fu sostituito da una cassetta di legno chiaro che David
trasformò in una sorte di lapide con la semplice dedica “A Marat, David”.
La sobrietà dell’ambiente con la vasca che Marat usa a scopi curativi di
una malattia di pelle, il pezzo di legno coperto col drappo verde e serve da
scrivania, la semplica cassa di legno, contribuiscono a mostrare la povertà
rivoluzionaria di Marat, repubblicano incorruttibile, ucciso a tradimento per
le sue virtù, le stesse a cui Marie Corday fece appello per essere ricevuta.
Marat ha nella mano un bligietto e lo mostra all’osservatore: è una
supplica di Corday che dimostra come un’inganno ha potuto culminare nella morte
di un’uomo così valoroso.
Il calamaio e la penna ancora sulla mano, il coltello lasciato per terra
sono come gli strumenti della Passione. Infatti David si ispira alla Pietà e
alla Sepoltura di Cristo come si vede dalla ferita ancora aperta dalla quale
esce il sangue, dal capo chinato sulla spalla destra, dal braccio destro che
pende inerte dalla vasca, dalle lenzuola macchiate di sangue che richiamano al
sudario.
Al calore del coinvolgimento emozionale di David si contrappongono la
freddezza dei colori, della morte.
Il parallelo con la figura di Gesù, non tanto nascosto, serve a innalzare
Marat tra gli uomini comuni e mettere le sue virtù sull’alto, indicandolo come
esempio da essere seguito. La stessa geometria della composizione dimostrano
elementi importanti. Il punto di fuga sta in alto, sulla destra, consentendo
una visione dall’alto verso il basso. La testa di Marat sta sull’asse
orizzontale del dipinto, il braccio destro sull’asse verticale, il calamaio sta
lungo l’asse diagonale, e il gomito del braccio destro sta sull’altra
diagonale. Non acaso, il coltello lasciato indietro sta anche sull’asse
verticale.
Ancora un’altra volta David sceglie di rappresentare la scena non nel
momento tragico, ma qui nel momento successivo, in cui non si conosce nulla
della figura dell’assassina, e di lei c’è solo il coltello, testimone della sua
malvagità che constribuisce a esaltare il carattere di Marat. La sua figura,
resa in un’ambiente distaccato è già un monumento alle future generazioni.
L’eco del dipinto fu così grande da creare l’esigenza di riproduzioni in
stampa e in copie (fatte dall’atelier dell’artista).
Le Sabine
Iniziato nel 1794, nel tempo di carcere, fu finito nel 1799. L’evento
narratto è tratto dalla leggenda narrata da storici e poeti romani, secondo la
quale i Sabini, guidati da Tazio, vanno a lottare contro i romani guidati da
Romolo, per ricuperare le donne che erano state rapite da loro per iniziare
l’insediamento nella neonata Roma.
Per evitare spargimento di sangue, Tazio e Romolo decidono di affrontarsi in
un duello, ma vengono fermati da Ersilia, figlia di Tazio e moglie di Romolo,
che dimostra la forza del sentimento coniugale, fraterno e paterno capace di
evitare molte tragedie e far sì che due popoli si uniscano anche con delle
differenze.
Il significato più probabile, principalmente se si guarda la data, è quello
politico che David dimostrava sempre attraverso le sue opere, e anche
partecipando attivamente come cittadino. Lui voleva trasmettere il messagio di
incentivo alla rinuncia alla vendetta e il cammino verso la pace nazionale.
La qualità artista della composizione è elevata con i nudi eroici di Tazio
a sinistra, di fronte e Romolo a destra, visto da dietro, mentre Ersilia è al
centro con le braccia e perne divaricate a separarli. Questa nudità eroica è
una novità nel dipinto, anche se criticata da alcuni, perché si alterna nella
vista di fronte e da dietro dalla sinistra verso destra.
Nonostante ci sia un rilievo notevole e costruzioni romane sul Campidoglio
dai quali partono le linee prospettiche fino al capello di Romolo, la geometria
è quello che piu qualifica questo dipinto. La maggior parte dei personaggi,
principalmente i più importanti, si trovano sotto la metà del dipinto, e la
mezzeria è indicata da una donna in rosso che leva le mani sul capo. Le pose di
Tazio e Romolo insieme a quella di Ersilia formano due triangoli nella
composizione, congelando l’azione principale sul primo piano, mentre la donna
che solleva il bambino un po’ più al fondo dimostra la dinamicità del quadro,
anche nel fermare le confuse armate del nemico.
In questo dipinto si deve la conoscenza dell’antico e anche l’orientamento
di David della traduzione di forme scultoree su quelle pittoriche.